Aggravi: no ai libri dei sogni, sì a piani concreti per portare la Sanità fuori dal pantano!

In Consiglio regionale il vice Capogruppo Stefano Aggravi è intervenuto con alcune considerazioni sul Piano regionale per la salute e il benessere sociale.

Qui di seguito trovate il suo intervento in aula

Approda oggi in Consiglio Valle il Piano regionale per la salute e il benessere sociale 2022-2025. Un percorso iniziato ufficialmente il 12 aprile 2022 con il deposito del Piano e proseguito poi con le varie audizioni in V Commissione a partire da quella del 7 giugno 2022 e che a sua volta era iniziato con una prima presentazione di una bozza dell’elaborato a partire dal novembre 2021.

Un percorso che ha permesso, a chi ha seguito i lavori della V Commissione consiliare, di andare oltre alle notizie di stampa, alle statistiche varie, alle varie promesse e rumors e cose altre e sentire dalla prima persona dei referenti del settore quali siano le problematiche, le criticità ed anche le speranze di un settore fondamentale per la nostra Comunità. Tra le audizioni vi è stata anche quella dei referenti del Comitato Vallée Santé che hanno fornito la loro “versione dei fatti”, hanno fatto le loro osservazioni e proposte che hanno permesso tra l’altro di poter ragionare e sviluppare alcune ulteriori considerazioni che riguardano il sistema sanitario valdostano.

Lo dicevo poco fa, la prima versione del Piano è datata novembre 2021, almeno quella messa a disposizione di tutti noi. Una versione che partiva dall’analisi del contesto di riferimento, analisi che oggi nella versione finale – se così possiamo chiamarla – finisce in allegato al Piano. Su questo punto, che per molti pare banale, è bene fare una prima considerazione. Il Piano per la salute e il benessere sociale è molto simile ad un DEFR della Sanità – lo diciamo un po’ tutti – e dovrebbe basare le proprie considerazioni su di una base statistica e di contesto che non si può trattare come un semplice allegato. Vero è che per qualcuno quanto sto dicendo può sembrare banale e superfluo, ma così non è. Si può programmare (perché la pianificazione è altra roba) su un arco triennale senza avere alla base delle considerazioni “statistiche” forti e che permettono anche considerazioni prospettiche non di poco conto? Resto piuttosto stranito dall’ultimo emendamento presentato dall’Assessore che va ad “integrare”, se così si può dire, l’incipit “storico” del Piano. Sinceramente, non saprei come leggere questa scelta e oggi la vedo come una sorta di doppia Presentazione in cui si danno alcuni numeri aggiornati, par-ci par-là, che come scritto dal presentatore medesimo “riteniamo corretto aggiornare brevemente alcuni dati di contesto, che alleghiamo, perché ci permettono di cogliere l’aspetto fondamentale prospettico che un documento come il PSBS deve avere e sta già avendo a partire dalla sua presentazione”.

Basta qualche dato aggiornato in più per aiutare a meglio comprendere le scelte fatte nel Piano? Ma soprattutto, se questo Piano “sta già avendo”, come scrive nella nuova breve Presentazione l’Assessore, perché oggi siamo qui a discutere qualcosa che di fatto si sta già applicando dalla sua presentazione?

Nota bene. Queste mie non sono critiche a sé stanti e di mera parte, ma vogliono nel complesso significare e rassegnatamente dire che come avrebbe detto qualcuno in Oriente “grande è la confusione sotto il cielo” e forse questa frase si sarebbe per l’appunto fermata qui a differenza di quanto la nota citazione invece sentenzia.

Non c’è prefazione, commento o considerazione, analisi o critica che oggi non inizi dicendo che le cose sono cambiate e/o hanno subito gli effetti nefasti della pandemia da Covid-19. Anche la duplice Presentazione di questo Piano lo dice e lo ribadisce. Sinceramente – e parlo in senso lato e non specificatamente sull’oggetto della discussione – mi chiedo se questa scelta, ormai sclerotizzata dai tempi, non finisca sempre di più per diventare non tanto l’ovvia considerazione di apertura di ogni aspetto della nostra vita “post Covid-19”, ma piuttosto una sorta di giustificazione d’ufficio rispetto a quello che poi si scrive, dice o fa.

Sinceramente e l’ho già detto in più occasioni, la pandemia oltre che essere ricordata per quello che è stata e per gli errori e anche le cose giuste che si sono fatte, avrebbe dovuto nel bene e nel male insegnarci qualcosa e permetterci di imparare ed evolvere. Mi pare, invece, e lo dico molto modestamente che così non sia, non soltanto nel campo sanitario, bensì anche in altri settori di cui ci siamo e ci occuperemo nel nostro lavoro. Fa davvero specie che quanto avvenuto sembra non aver influenzato, né inciso realmente sui problemi che già conoscevamo prima dell’arrivo della pandemia. Sembra come se oltre alle soluzioni contingenti di contrasto all’evento pandemico, le altre si vogliano comunque risolvere con soluzioni passate e che non tengono conto di quello che è successo.

Cito un esempio per tutti. Chi mi conosce sa che all’epoca del referendum sull’ospedale ho partecipato attivamente per difendere la linea di concentrazione in un unico polo delle strutture ospedaliere regionali. Agli inizi dell’evento pandemico – l’ho anche scritto in un libretto – ho ritenuto che la soluzione migliore fosse quella che consentisse di realizzare una nuova struttura nel più breve tempo possibile e quindi là dove era. Ma, ora, ragionando su quello che avrebbe dovuto insegnarci la pandemia e considerando il contesto di riferimento attuale e anche prospettico mi chiedo se non avesse avuto più senso valutare una riorganizzazione dei servizi considerando l’opportunità di salvaguardare – e potenziare, anche dal punto di vista specialistico – gli attuali siti anche per tenere separate strutture che la pandemia ci ha insegnato essere assai complicate da difendere da agenti invisibili quali i virus, ad esempio. Qualcuno sarà perplesso, qualcun’altro ha cambiato idea in maniera diametralmente opposta alla mia, qualcun’altro è sicuramente più esperto di me. Ma abbiamo considerato tutti i rischi e le relative conseguenze?

L’ho già detto in altre sedi e ne ho anche parlato alcune volte con il precedente Assessore alla Sanità e oggi credo che sia giusto ribadire questo concetto. Più che un “libro dei sogni” (cit.) non valeva forse la pena di predisporre un Piano più “operativo”, più snello ma concreto (in termini di azioni, tempistiche di realizzazione e risorse), che portasse la Sanità valdostana fuori dal pantano in cui è finita? Una sorta di “piano di transizione” che non dimenticasse che la pandemia altro non è stata che un “terribile intermezzo” rispetto ad una crisi e delle criticità che la nostra Sanità – e non soltanto la nostra – aveva già sviluppato endemicamente.

Proprio in tal senso nel giugno 2022, proprio a seguito delle prime audizioni sul Piano, come gruppo consiliare avevamo presentato una mozione titolata “Impegno ad adottare un “programma delle priorità di intervento” da attuare nei primi cento giorni dall’adozione del Piano regionale per la salute e il benessere sociale”, con l’obiettivo di sollecitare la controparte di Governo a dare un maggior livello di concretezza a molti degli assunti scritti nel Piano. Un Piano con molti obiettivi condivisibili e che sicuramente possiamo trovare nei programmi di molti partiti presenti e anche non presenti oggi in questa Aula, ma che necessitano di un concreto livello di pianificazione. L’ho già detto a suo tempo e lo ripeto, non si può mettere sul tavolo un Piano di questo genere e dire – semplifico – “la sua attuazione la capirete dalle delibere di giunta (etc.)”. Non è questo il modo di fare le cose, perché in queste parole c’è nuovamente quello che dicevo prima, grande confusione sotto il cielo.

Spesso poche, semplici, ma chiare idee sono più forti di tante e confusi sogni e prospettive anche se mediaticamente fanno, almeno all’inizio, poca notizia.

Questa proposta oggi viene ripresentata in una forma rinnovata, ma comunque con lo stesso spirito. All’epoca fu accolta, con qualche modifica di rito, ma accolta e legata a quello che sarebbe stato il successivo DEFR. Sappiamo poi come sono andate le cose. Crediamo però che oggi questa necessità, questa chiarezza di intenti e di scelte, debba esserci con ancor più forza perché il Piano già nel titolo parte vecchio e nel contenuto, oltre a tanti numeri non più attuali, potrebbe finanche rischiare di non essere più in linea con quanto si sta facendo.

Mi si permetta di contribuire a questa discussione con qualche altra considerazione sui contenuti del Piano.

Anche su questo punto ho avuto modo di anticipare con una iniziativa discussa in Consiglio la tematica. Nell’ambito dello sviluppo della Macro Area 2 si dice che il Piano “intende ridefinire e riqualificare la governance dell’assistenza sanitaria territoriale potenziando il ruolo dei Distretti e delle risorse umane”, Distretti che rappresentano “l’ambito territoriale ottimale dove assicurare l’assistenza territoriale integrata, in tutte le sue componenti”. Il Piano riorganizza gli attuali 4 distretti in 2 tenendo conto di tre fattori:

la Valle d’Aosta con poco più di 123k assistiti mal si congegna con le prerogative nazionali che indicano come bacino di utenza ottimale di popolazione servita quello di circa 100k;
il nuovo distretto 1 è caratterizzato da una popolazione tra le più giovani, quella dell’Alta Valle e, congiuntamente, anche da quella tra le più anziane, residente nella zona di Aosta e plaine, attratta dalla maggior presenza di reti e servizi;
Il nuovo distretto 2 vede quale principale criticità la vicinanza con il Piemonte e quindi, in estrema sintesi, la necessità di potenziare il livello di offerta di servizi e prestazioni per contrastare l’aumento delle forme di mobilità sanitaria passiva.

Considerazioni ed evidenze che hanno il loro giusto fondamento, ma mi chiedo se abbia davvero avuto senso concentrare circa il 70% dell’utenza all’interno di un solo Distretto, il primo, in cui Aosta e Plaine di fatto concentrano circa il 50% dell’utenza regionale.
Questa situazione determinerà ulteriormente la centralità del capoluogo regionale e la fondamentale importanza di quello che saranno le Case e gli Ospedali di Comunità di cui la realizzazione e relativa attivazione ci risulta ancora non del tutto chiara (vicenda Morgex – media intensità e JB Festaz). Di seguito a questo punto, abbiamo appreso ieri del via al bando di gestione dei PUA che avranno sede nelle Case di Comunità hub e spoke. Ecco, ma quando e come si faranno le Case della Comunità? A leggere la relativa sezione nel Piano (pag. 44) si può dedurre che saranno ben altra cosa rispetto agli attuali Poliambulatori. Ecco, non è chiaro che cosa debba accadere da qui all’avvio dei PUA, ad esempio, agli attuali Poliambulatori per diventare Case della Comunità.

Ad esempio, a Courmayeur la prevista Casa della Comunità a bassa complessità (spoke e H5 quindi) dove sarà realizzata? Si sta parlando del Centro traumatologico? L’attuale struttura è funzionale ad accogliere tutti i servizi previsti dal centro e della CdC?

Ho letto, invece, con interesse la sezione “Il finanziamento del sistema salute e benessere sociale” in cui sono riportati alcuni interessanti dati che sarà bene considerare pro futuro e perché no anche necessariamente aggiornare.

Nel 2019 la spesa sanitaria pubblica pro capite in VDA è superiore a quella media nazionale di 133 euro a persona (2.037 vs 1.904) ed è la quarta più alta a livello nazionale, analizzando però il trend 2011-2019, il livello medio nazionale della spesa sanitaria pubblica pro capite è cresciuto del 2,6% in VDA si è ridotta di quasi il 9%.

La spesa sanitaria privata in VDA è la più alta a livello nazionale ed eccede del 65% il valore medio nazionale. Rispetto al cittadino italiano, ogni valdostano spende privatamente circa 411 euro in più in un anno (1.040 vs 629). Ecco qui trovo che l’interpretazione data dal Piano sia, come dire, un po’ salomonica – sicuramente il fenomeno non è di semplice comprensione – ma dire che un cittadino con un reddito medio annuo ha una propensione alla spesa più alta, anche nell’ambito delle questioni sanitarie, è una cosa, dire poi che forse questo fenomeno può anche essere generato dalla “non adeguatezza del servizio sanitario pubblico a coprire l’intero fabbisogno regionale” è un’altra. Forse bisognerà tornarci sopra.

Va detto però che la spesa pro capite privata anche a livello italiano è in crescita nel periodo 2011-2018, passando da 560 euro a 629, in VDA è passata nello stesso periodo da 990 a 2.040 euro. Vero è che il trend di crescita è meno sostenuto, ma questo non giustifica certo la spiegazione basata sul “maggior reddito medio dei Valdostani”.

Sul lato dei costi sostenuti dall’Azienda USL sarebbe stato utile aggiornare i dati di pagina 200 dato che un 2021 chiuso c’è e forse avrebbe dato qualche elemento di valutazione in più. Come si fa ad avere un Piano già così vecchio in partenza?

Un ultimo aspetto che ho già avuto modo di dire in sede di presentazione della Relazione di minoranza ai d.d.l. 82 e 83. Sul 2025 (dato previsionale) il Programma 13.01/02 avrà 29 milioni in meno rispetto a quanto stanziato sul 2023. La veduta è corta perchéP si sa già che arriveranno altre risorse oppure forse si guarda soltanto al biennio in corso e poi si vedrà?

Vabbè, lo abbiamo già detto e non ci torno: grande è la confusione sotto al cielo!.

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