Utero in affitto reato universale: il Governo regionale dice no!

In Consiglio regionale abbiamo presentato una mozione per impegnare il Consiglio regionale a condannare la maternità surrogata in quanto atto esecrabile poiché porta alla mercificazione del corpo della donna ed è inoltre lesivo dei diritti del minore che viene procreato e ad esprimere ai parlamentari valdostani, il sostegno del Consiglio Regionale alla proposta di legge n. 306 del 23 marzo 2018 che dichiara la procreazione per altri reato universale.

Il Governo regionale, per il tramite dell’assessore alla sanità, ha detto che non avrebbe votato la mozione perché fiducioso del fatto che si sarebbe creata una forma di maternità surrogata “di solidarietà”, senza cioè che la gestante sia pagata. Un desiderio smentito dai fatti che raccontano invece come, ad essere sfruttate, siano proprio le donne più bisognose.

Il Capogruppo Andrea Manfrin ha presentato la mozione in aula.

La surrogazione di maternità, anche nota come maternità surrogata o gestazione per altri (spesso abbreviata in GPA) è una forma di procreazione assistita in cui una donna, definita madre surrogata o gestante per altri, provvede alla gestazione per conto di una o più persone, che acquisiranno la responsabilità genitoriale nei confronti del nascituro.

Il ricorso a tale metodo viene solitamente sancito attraverso un contratto, in cui il futuro genitore (o i futuri genitori) e la gestante dettagliano il procedimento, le sue regole, le sue conseguenze, il contributo alle spese mediche della gestante e, in alcuni Paesi, l’eventuale retribuzione della gestante stessa per il servizio offerto: in quest’ultimo caso è usata anche la locuzione «utero in affitto».

La surrogazione di maternità può assumere due forme distinte: nella prima si tratta specificamente di una surrogazione di concepimento e di gestazione, ossia la situazione in cui l’aspirante madre demanda a un’altra donna sia la produzione di ovociti, sia la gestazione, non fornendo alcun apporto biologico; nella seconda si dà corso, invece, a una surrogazione di gestazione, comunemente detta “affitto di utero” o “surrogazione di utero”, nella quale l’aspirante madre produce l’ovocita il quale, una volta fecondato dallo spermatozoo dell’aspirante padre, viene impiantato nell’utero di un’altra donna che fungerà esclusivamente da gestante.

A dispetto di quanto teorizzato dalla propaganda cosiddetta arcobaleno, le pratiche della surrogazione di maternità costituiscono un esempio esecrabile di commercializzazione del corpo femminile e degli stessi bambini che nascono attraverso tali pratiche, che sono trattati alla stregua di merci.

Ma nonostante la convinzione di molti che la gestazione per altri sia un mero mercimonio, il ricorso a queste pratiche è in vertiginoso aumento e la maternità surrogata sta diventando un vero e proprio business che, tanto per fare un esempio, in India vale oltre 2 miliardi di dollari l’anno. In questo Paese le “volontarie”, reclutate nelle zone più povere, “producono” più di millecinquecento bambini all’anno per assecondare la domanda che viene dall’estero, attirata dai prezzi bassi, “appena” 25.000/30.000 dollari rispetto ai 50.000 che si spendono negli Stati Uniti d’America.

In India, le volontarie che entrano nel circuito legale delle cliniche per la maternità surrogata guadagnano tra gli 8.000 e i 9.000 dollari a gestazione, una cifra che corrisponde a dieci anni di lavoro di un operaio non specializzato, mentre quelle che ne rimangono al di fuori sono reclutate da veri e propri “scout”, attivi nelle zone più povere, sono pagate molto meno – da 3.000 a 5.000 dollari – e sono costrette a firmare dei contratti che non prevedono alcun supporto medico post parto.

Un quadro piuttosto chiaro che ci dimostra che, oltre alla mercificazione della donna, ad essere sfruttata è anche la povertà e, probabilmente, la poca cultura delle donne che prestano il proprio corpo per questa pratica.

Nonostante i costi un po’ più elevati, anche negli Stati Uniti d’America il business della maternità surrogata sta aumentando a ritmo esponenziale, con un numero di nascite superiore a duemila ogni anno, rispetto alle quali addirittura si dà agli aspiranti genitori la possibilità di scegliere alcune caratteristiche base del nascituro. Un po’ come dire: vuoi che tuo figlio sia biondo e con gli occhi azzurri? Allora scegli questa puerpera e questi donatori maschili. Insomma, come se fossimo in un vero e proprio “negozio di bambini”. Un’idea che fa accapponare la pelle.

Va poi detto che nella surrogazione di maternità le donne che “prestano” il proprio corpo non hanno alcun diritto sui bambini che pure portano in grembo e non sono neanche considerati i diritti dei bambini, costretti a separarsi dalla madre biologica subito dopo il parto e che si chiederanno per tutta la vita chi sia la loro madre biologica. 

Il distacco dalla madre naturale è un evento assolutamente traumatico e che influisce sul futuro sviluppo cognitivo del minore. L’attaccamento della mamma al proprio bambino e viceversa inizia infatti a svilupparsi già prima della nascita quando con l’ecografia si vede la prima immagine e si iniziano a percepire i primi movimenti nella pancia. Anche il bambino inizia a conoscere i genitori tramite il suono della loro voce quando è ancora nell’utero materno. Ma è subito dopo il parto – nel momento stesso in cui il cordone ombelicale che li ha uniti durante la gravidanza viene reciso – che  il primo sguardo e il primo vagito danno inizio ad una serie di scambi fra madre e bambino in grado di creare un legame fisico, emotivo e psicologico che durerà tutta la vita.

L’attaccamento è considerato dalla psicologia cognitiva un importante istinto umano che aiuta il bambino a soddisfare bisogni primari che riguardano anche l’affettività e la sicurezza (e non solo esigenze alimentari o fisiche). Bowlby sosteneva infatti che l’attaccamento è la base di partenza su cui l’individuo, da adulto, costruisce le sue relazioni e vive le sue esperienze. Se questo viene a mancare a inficiarne sarà la qualità della vita del bambino da adulto e stili di attaccamento disfunzionali possono portare in età adulta a problematiche importanti che vanno a condizionare il tipo di relazioni che si stabiliscono.

Veniamo invece alla parte più strettamente normativa. In Italia la legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” che, all’articolo 12, comma 6, prevede che «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro». Quindi, come potete vedere, la procreazione assistita nel nostro Paese è, di fatto, già un reato.

Il 18 marzo 2016 poi, il Comitato nazionale per la bioetica, organo di consulenza al Governo, al Parlamento e alle altre istituzioni, ha approvato una mozione con la quale definisce la maternità surrogata come «un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione», ritenendo che «l’ipotesi di commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive, sotto qualsiasi forma di pagamento, esplicita o surrettizia, sia in netto contrasto con i princìpi bioetici fondamentali».

Anche il Parlamento europeo è intervenuto su tale pratica. Il 17 dicembre 2015, nel corso dell’Assemblea plenaria del Parlamento europeo, è stata approvata la Relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014, sulla politica dell’Unione Europea in materia, di cui alla risoluzione 2015/2229 (INI). La Relazione contiene un emendamento di un eurodeputato della Slovacchia che stabilisce che il Parlamento europeo «condanna la pratica della maternità surrogata, che mina la dignità umana della donna, visto che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usate come una merce; considera che la pratica della maternità surrogata, che implica lo sfruttamento riproduttivo e l’uso del corpo umano per profitti finanziari o di altro tipo, in particolare il caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba essere vietato e trattato come questione di urgenza negli strumenti per i diritti umani».

Negli ultimi anni i giudici italiani hanno dovuto confrontarsi con il fenomeno del ricorso alla maternità surrogata all’estero e l’impossibilità, stante la normativa vigente, di sanzionare penalmente tale fenomeno, ha spinto la giurisprudenza a utilizzare approcci di diversa natura rispetto agli eventuali profili di responsabilità penale, concentrandosi prevalentemente, almeno in una prima fase, sull’analisi della configurabilità del reato di alterazione di stato di cui al secondo comma dell’articolo 567 del codice penale, che punisce con la reclusione da cinque a quindici anni «chiunque, nella formazione di un atto di nascita, altera lo stato civile di un neonato, mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità».

Nel 2014 la sentenza di un giudice di Milano ha riconosciuto due coniugi indagati colpevoli del reato di cui all’articolo 495 del codice penale, rubricato «Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri», il quale punisce con la reclusione da uno a sei anni «Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o le altre qualità della propria o dell’altrui persona» a causa della falsa dichiarazione resa dal marito in ordine alla qualifica di madre biologica della moglie.

Inoltre, nella stessa sentenza, il giudice ha svolto alcune considerazioni in merito al desiderio di genitorialità, riconoscendone l’importanza ma ribadendo che questo non sia meritevole di tutela «allorché tale desiderio sia soddisfatto od ogni costo, anche a  probabile discapito del nascituro». La legislazione nazionale sul tema della filiazione, dalla Costituzione in poi, e quella sulle adozioni dedicano grandissima attenzione al fatto che il desiderio di genitorialità non violi i diritti del minore e non travalichi il dato materiale, cioè, per citare il giudice di Milano, «le condizioni per mezzo delle quali due soggetti possono naturalmente generare».

Occorre peraltro ricordare che il codice penale, all’articolo 7, stabilisce espressamente la punibilità per taluni reati anche se commessi all’estero. 

La legge n. 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita, scritta in un tempo in cui non esisteva ancora il turismo procreativo, ha lasciato di fatto un vuoto normativo, nulla prevedendo in ordine alla liceità o no della surrogazione di utero, e più in generale di maternità, attuata all’estero da cittadini italiani.

Per questo motivo è attualmente all’esame del Parlamento la proposta di legge n. 306 del 23 marzo 2018 recante “Modifica all’articolo 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, in materia di perseguibilità del reato di surrogazione di maternità commesso all’estero da cittadino italiano”. Tale proposta di legge ha ottenuto da poco il parere favorevole della Commissione Giustizia della Camera e tra poco approderà in Aula. 

Oggi, con questa mozione, intendiamo quindi impegnare il Consiglio regionale a condannare la maternità surrogata in quanto atto esecrabile poiché porta alla mercificazione del corpo della donna ed è inoltre lesivo dei diritti del minore che viene procreato e ad esprimere ai parlamentari valdostani, il sostegno del Consiglio Regionale alla proposta di legge n. 306 del 23 marzo 2018 che dichiara la procreazione per altri reato universale.

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